
Il Ritratto di Gentildonna è molto più di un’opera con un curioso soprannome: un grande esempio di comunicazione non verbale
La comunicazione è alla base di tutto. Potrebbe sembrare un banale luogo comune, ma provate per un momento a soffermarvi sulla disarmante profondità di questo pensiero: tutto comunica, dalle parole ai gesti, dai simboli ai più piccoli dettagli di un oggetto; lo si respira in uno sguardo, nell’esitazione di una “o” scritta a penna su un foglio di carta, nella sinuosità di una linea. La comunicazione è forse uno degli aspetti più pervasivi della realtà in cui viviamo: dobbiamo solo rendercene conto e catturare avidamente con i sensi tutto quel che ha da dirci.
Questa grande verità è riscontrabile con estrema chiarezza in uno dei capolavori di Raffaello Sanzio, un’opera apparentemente poco accattivante, ma la cui potenza supera di gran lunga quella di molti altri dipinti: stiamo parlando del Ritratto di Gentildonna, un olio su tavola di 64×48 cm conservato nell’altrettanto notevole Palazzo Ducale di Urbino, precisamente nell’Appartamento della Duchessa.
Noto anche come “la muta”, questo enigmatico dipinto raffigura con tutta probabilità la protettrice del celebre pittore rinascimentale, Giovanna Feltria della Rovere, madre del futuro duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere. Il soprannome di questa misteriosa figura, catturata di tre quarti nella tavola, è da attribuire al fatto che delle semplici, meticolose pennellate, siano riuscite a rendere il modo in cui le delicate labbra della nobile fossero signorilmente sigillate nel momento in cui era in posa di fronte all’artista.

Ritratto di Gentildonna – “la muta”
Ma la bocca serrata non rappresenta la totalità del messaggio che questa muta comunicatrice intende trasmettere con la sua immagine: impossibile non lasciarsi catturare ad esempio dal senso di delicatezza che l’ovattata oscurità dalla quale emerge suscita in chi osserva, ricordando in questo un tipico ritratto di Leonardo Da Vinci, altro elemento che concorre a rendere ancora più espressivo il volto e ad evidenziare i dettagli delle vesti e dell’acconciatura, a cui Raffaello fu sempre molto attento. In questo caso, la gamurra indossata dalla gentildonna, abito tipico del primo Cinquecento, comunica la datazione del dipinto, completato tra il 1505 e il 1509, ma non solo…
Come sembra confermare la versione più morbida e giovanile della nobile sottostante allo strato superficiale del ritratto, si ipotizza che, a seguito della scomparsa del marito nel 1501, Giovanna Feltria della Rovere abbia preferito mostrare la sua condizione di vedovanza: per nulla casuali, infatti, il curioso fazzoletto che stringe nella mano sinistra e la prevalenza del colore verde nelle sue vesti.
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