
La Roccia dell’Elefante è un oggetto fuori dal tempo che si mostra a sorpresa in un tratto della via Nazionale di Castelsardo
“Ora basta. Sono stanco di essere braccato da umani senza scrupoli: mollo tutto e mi trasferisco in montagna!”
Sembra questo il pensiero che ronza nella mente del colossale elefante rossiccio di roccia vulcanica che troneggia appena fuori dalla carreggiata di un tratto della via Nazionale di Castelsardo, in provincia di Sassari. Questo il dono che il lento e minuzioso processo di erosione del tempo e del vento ci ha lasciato: un pachiderma seduto, denominato Sa Pedra Pertunta (“la roccia traforata” in sardo) fino al 1914, anno in cui lo studioso Edoardo Benetti propose di ribattezzarlo rendendo omaggio alla sua forma peculiare.
La Roccia dell’Elefante porta fuori e dentro di sé una ricca storia, tra mito e realtà. Cominciamo a grattare la superficie: i resti di conchiglie e sedimenti marini fossili incastonati in questo “oggetto fuori dal tempo”, titolo riservato a tutti quei manufatti, rocce naturali o elementi artistici che non sarebbero dovuti esistere, in quanto il loro aspetto rappresenta qualcosa di troppo complesso da realizzare in relazione all’epoca in cui hanno avuto origine, sembrano confermare una leggenda legata a Codaruina, oggi Valledoria, secondo la quale un cataclisma, presumibilmente un maremoto, avrebbe improvvisamente sommerso questa popolosa area. Ma non bisogna mai fermarsi alle apparenze: sebbene già estremamente interessante così, la Roccia dell’Elefante rappresenta un’irresistibile attrazione turistica anche dal punto di vista archeologico, dato il doppio tesoro che cela al suo interno, due domus de janas d’incomparabile bellezza.

Roccia dell’Elefante – Castelsardo
Queste strutture sepolcrali preistoriche furono realizzate in due momenti diversi dagli Sherdana (o Sherden), uno dei popoli di quella coalizione di comunità del mare spesso identificate con gli antichi Sardi. L’ipotesi più accreditata è che questi luoghi di sepoltura fossero templi rituali. Mentre la camera superiore presenta tre vani e probabilmente ha perduto a seguito di un crollo sia il prospetto della tomba sia il padiglione coperto che la precedeva, quella inferiore è stata maggiormente risparmiata dall’azione del tempo: ancora accessibile attraverso uno stretto portello quadrangolare e visitabile nei quattro vani in cui è suddivisa, sembra mancare solo del dromos che una volta la precedeva, vale a dire quel breve corridoio parzialmente a cielo aperto da cui chi desiderava entrare nel luogo sacro muoveva i primi passi. Altrettanto godibile è la sua protome bovina, un elemento decorativo taurino scolpito a rilievo sulla parete di una celletta ampiamente utilizzato nella simbologia dell’epoca.

Roccia dell’Elefante – Castelsardo