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Gnummareddi
un viaggio alla scoperta degli involtini con le frattaglie e le diverse preparazioni regionali

Dalla Campania, passando per Basilicata, Puglia e Calabria, questo piatto unisce tutto il sud Italia e non solo. Questa sorta di involtino di interiora di frattaglie miste di agnello infatti è diffuso anche in Grecia e in Turchia. La cucina unisce e senza dubbio gli Gnummareddi  sono la dimostrazione di quanti luoghi lontani e diversi abbiano spesso tradizioni simili, eppure ogni luogo ha un modo proprio di riferirsi a questo piatto. Così vicini nella preparazione, così lontani nei nomi, gli Gnummareddi sono chiamati così solo in Puglia con le eventuali variazioni nelle rispettive città: gnummariddo a Taranto, inghiemmeridde a Bari, turcinieddri in Salento, mentre in Calabria sono conosciute come Mazzacorde, in Campania sono noti come abbuoti, mentre a Teramo come mazzarelle. Elencare tutti i diversi nomi in maniera esaustiva sarebbe impossibile, è certo che Il proverbio  “paese che vai…usanza che trovi” non è mai stato più vero e azzeccato. Si consiglia quindi di controllare bene il nome usato nel luogo dove si desidera assaporare questa specialità, anche perché se gli ingredienti usati solo simili è il metodo di cottura che spesso cambia. Di solito cucinati alla griglia con legno di ulivo, il profumo inconfondibile che si propaga per le strade vi spingerà a desistere dall’iniziale incertezza e assaggiare proprio come nel film Basilicata coast to coast questi involtini.

 

Gnummareddi

Gnummareddi

 

A Taranto non solo la cottura avviene su appositi fornelli alimentati a carbone dove gli spiedi sono posti verticalmente, ma al tradizionale interno fatto di fegato, polmone e rognone si aggiunge anche l’animella. La cottura in umido è invece prediletta a Locorotondo, per questo il nome gnumerèdde suffuchète, mentre in Irpinia vengono stufati con cipolla con battuto di pecorino, uova e prezzemolo. A Teramo infine invece dell’involucro con il budello si è preferita l’indivia. Questa sorta di piccole bombette non solo hanno raggiunto e continuato a raggiungere i palati di turisti e dei locali, ma fanno parte anche della grande letteratura, citate da Carlo Levi nell’opera Cristo si è fermato a Eboli e nella poesia ‘o scartellato, ovvero il gobbo del napoletano Raffaele Chiurazzi. Nonostante la fama, l’uso delle frattaglie spesso lo rende un piatto poco appetibile e dal sapore molto deciso, eppure basta provarli per decretarne la bontà e se tornati da una vacanza con la nostalgia degli involtini è possibile trovarli in macelleria oppure cucinarli a casa. Nella versione classica le interiora vanno sciacquate e poi strofinate con sale e limone; una volta fatto questo passaggio si tagliano a dadini e arrotolate nel budello con una foglia di alloro. Scaldata la piastra gli involtini vanno cotti fino a risultare abbrustoliti e il piatto può essere servito.